Ogni maledetto Streaming

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Piccola considerazione dopo l’incontro in diretta streaming tra Renzi e Grillo.

Alla fine la consultazione è avvenuta, non per volontà di Grillo e Casaleggio (padri-padroni contrari a questa eventualità) ma per volontà degli iscritti al Movimento 5 Stelle che ieri on-line hanno votato “sì alle consultazioni”, anche se con uno scarto di appena 500 voti. Ora, era chiaro che Grillo ha dovuto obbedire ai suoi iscritti del tutto controvoglia e lo si è visto palesemente nella diretta. Innanzitutto, è discutibile il fatto stesso che sia stato Grillo a presentarsi a Roma piuttosto che uno dei suo tanti parlamentari (penso a Di Battista e a Di Maio, che oggi era sì lì accanto, ma solo come fido). Ma il fatto più controverso è stato senz’altro la modalità della “discussione”: il comico genovese ha preso la parola inondando Renzi di tante sporche verità senza fermarsi, senza lasciar parlare l’altro interlocutore, che alla fine ha potuto solamente sbottare “Beppe, esci da questo blog!”.

Una considerazione, tra le tante, merita di esser detta. Una forza politica che rappresenta 10 milioni di italiani ha l’onore e l’onere di dover aprire delle discussioni politiche. Capisco perfettamente il fatto di non voler parlare con “gente che ha fatto sprofondare l’Italia per 20 anni”, ma questa è l’unica frase che da ormai un anno il M5S porta avanti. Ha dimostrato di avere parlamentari seri e competenti, insieme ad altri disastrosi (chiedere al duo Crimi-Lombardi), che troppo spesso però si inchinano alle parole che leggono live dal celeberrimo blog di Grillo. La sensazione è che questo grande movimento, forte del suo 25% di voti, avrebbe dovuto fare concretamente molto di più. L’opposizione l’ha fatta nel migliore dei modi, senz’altro, ma rischia di rimanere un’eterna opposizione se nessuno di loro avanzi proposte alle altre forze e ne imponga il veto. La sensazione è che ad ogni streaming l’Italia perda una grandissima opportunità di far cooperare la sinistra e i 5 stelle. Già l’anno scorso il famoso streaming tra Bersani e il sopracitato duo delle meraviglie Crimi-Lombardi ha mostrato l’incapacità di incidere del voto 5 stelle.

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Questa non è una difesa del centro-sinistra, anche perché personalmente ho sempre criticato il suo operato in quest’anno così travagliato e molto spesso la sinistra stessa si è resa indifendibile da sé. Tanto meno voglio difendere Renzi, che non ho votato alle primarie, che guardo sempre con un occhio critico e che le ha sparate grosse troppo spesso. Ma criticare sempre e non costruire niente, anche in maniera goffa e non molto edificante, è la peggiore delle possibilità.

Molti non sanno che Grillo nel 2008/2009, agli inizi del suo movimento, tentò di entrare e tesserarsi col Pd, chiedendogli di ascoltare quella voce che si stava levando dal web. Il Pd si oppose perché sentiva come una ridicola presa in giro quella proposta di Grillo. A tal proposito divenne famosa la frase di Piero Fassino, in cui disse “Che Beppe Grillo fondi il suo partito e vediamo poi quanti voti prende!”. 4 anni dopo quel movimento tolse almeno 6 milioni di voti al centro-sinistra. Adesso Pd e M5S viaggiano su due binari diversi, ma su molti temi paralleli. A volte questi binari si incontrano, ad ogni maledetto streaming. Ma niente da fare, non c’è modo di viaggiare insieme. Un peccato per il Paese.

 

Il video dell’incontro qui

Verso il governo Renzi

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Alla fine è successo. Da quando è stato eletto segretario, tutti, in cuor nostro, lo sapevamo. Matteo Renzi rassicurava tutti, Letta in primis, a stare sereni circa le sue ambizioni da premier e pensare piuttosto a far bene le cose al governo. Ma Renzi a Palazzo Chigi era solo questione di tempo, diciamoci la verità. Eppure pochi si aspettavano che ci arrivasse con una mossa così spudorata e netta come quella concretizzatasi ieri. Si pensava che un’accelerazione tale sulla legge elettorale avesse l’obiettivo di portare al voto il Paese al più presto possibile, in modo da candidare il sindaco di Firenze a capo del governo. Ma così non è stato. Il PD ha deciso che era il momento di cambiare (il premier) e di “uscire dalla palude” in cui Letta ancora ristagnava (cosa indubbiamente vera). Così via un premier, se ne fa un altro. Il terzo, per l’esattezza, senza legittimazione del popolo.

ImmagineFino a 10 giorni fa questa ipotesi della staffetta Letta-Renzi era pura fantascienza. Chi non appoggiava Letta fino in fondo era un eretico. Poi, pian piano, il vento è cambiato. Si è passati dal “ma chi ce lo fa fare?” al “dobbiamo pensarci”, per finire al “Grazie Enrico, ma ora nuovo governo”. Tutto in una settimana. Ora che le dimissioni di Letta si sono avverate, ci si chiede perché tutti in parlamento sembrano aver preferito questo cambio della guardia. Per me i motivi sono essenzialmente 3.

1. Scelta Civica e NCD hanno una paura boia di tornare alle elezioni perché sanno loro stessi che, ad oggi, prenderebbero talmente pochi voti che il parlamento lo potrebbero vedere solo da Google Street View, figuriamoci le cariche di ministri.

2. Renzi e il PD si sono resi conto che l’Italicum necessitava innanzitutto della parallela cancellazione del Senato per funzionare e, se avesse funzionato, avrebbe fatto vincere probabilmente la coalizione del Berlusca, completandone la riesumazione.

3. Napolitano a 88 anni ha contratto una rara allergia alle votazioni del popolo italiano, talmente acuta che appena si accenna alla parola “voto”, Giorgio II esclama “non diciamo sciocchezze! oppure “Serve stabilità!”. Un tic irrefrenabile. Che poi, in Italia c’è stata tanta stabilità da generare 3 governi in 3 anni.

Ora la parola a Renzi che dovrà formare il suo governo. Sa di essersi esposto letalmente al mondo con questo gesto e ha una responsabilità immensa sulle spalle. C’è da chiedersi se avrà la forza sufficiente per affrontare riforme così forti e necessarei che l’Italia le aspetta da 20 anni. Ce la può fare, con qualche dubbio, ma ce la può fare. Non ho pregiudizi. Ma so solo una cosa per certo. Matteo, ora NON HAI PIU’ SCUSE.

Civati ovvero: civoti?

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Non capita spesso di scendere in prima linea nella vita per appoggiare apertamente una persona, tanto meno se questa non la conosci direttamente ma ti parla dalla tv, dai giornali e dal web. E’ quello che però sento di fare per Civati, candidato alla segreteria del Pd, che sarà assegnata domenica 8 Dicembre. 

Ho sciolto anch’io i dubbi dopo un po’ di tempo e ho scelto di votare Pippo Civati tra 3 giorni per tanti motivi che vorrei elencare ma con cui annoierei parecchia gente. Per cui ho deciso di raccontare l’articolo con parole altrui. Innanzitutto con quelle di Andrea Scanzi (a qualcuno prenderà un colpo!), noto giornalista del Fatto Quotidiano, non certo filo-Pd ma uomo di grande arguzia e puntiglio sul mondo politico che qualche giorno fa ha racchiuso in questo post su Facebook il suo pensiero sulle primarie del centro-sinistra:

1010935_679329868750011_1535224183_n“Non parteciperò alle primarie del Pd, perché è un partito (purtroppo) nato morto e perché l’esito è scontato (stravincerà Renzi). Se però ci andassi, voterei Civati. Senza dubbio. L’ho spesso criticato, per la sconfortante mancanza di coraggio nei momenti chiave e per quel suo eterno tentennare. Ha un’idea troppo educata di ribellione, è un ragazzo che anche durante una contestazione vibrante darebbe del Lei agli avversari, direbbe “il vostro affezionatissimo” e starebbe ben attento a non spettinarsi i capelli. Ma è persona seria, onesta, colta e crede in quello che fa. In più non è permaloso, o meglio lo è, ma a livelli più che accettabili. Ed è (a margine) un amico. Uno di quelli con cui è bello confrontarsi e a volte scontrarsi. Cuperlo è una brava persona, ci ho parlato (a lungo) una volta ed è piacevolissimo disquisire con lui di musica e libri. E’ il primo a non credere alla sua “mission” e non vede l’ora di perdere domenica. Tornerà nelle retrovie, a leggere libri e vivere nel suo mondo (di cui purtroppo fa parte D’Alema, che Cuperlo anni fa difese al punto da chiedere pubblicamente la testa di Travaglio quando Marco scriveva su L’Unità). Renzi è un Berlusconi accettabile, il Calà della politica contemporanea, l’Enzo Braschi paninaro del Drive In appoggiato da De Luca (complimenti) e Lele Mora (vamos), Briatore (c’mon) e Franceschini (daje). Non è mai uscito dalla ruota della fortuna, figlio sin troppo emblematico della mia spesso frivola generazione. E’ un nientalista che da giovane si faceva fotografare col suo mito Ciriaco De Mita (io avevo Saramago e Gaber, lui De Mita: tutto si tiene), che da Presidente della Provincia diceva che gli inceneritori aiutavano a vivere meglio (e inveiva sulle scienziate che asserivano il contrario), che fino all’altro giorno amava Marchionne e Fornero. Piace ai delusi di centrodestra perché ci si rispecchiano. Piacicchia alla sinistra (che in un’altra epoca lo avrebbe demolito) perché non ne può più di perdere e pur di vincere è disposta persino a votare un ameno Mister Bean che “vuole portare a cena la crisi perché c’è bisogno di fareeeeeeehhh” (cit Crozza).
Civati non ha alcuna speranza di vittoria domenica, ma può perdere bene (una cosa che sembra piacergli sin troppo, come se ci fosse in lui un latente masochismo politico). Magari può persino arrivare secondo, chissà. Negli ultimi giorni ha azzeccato le mosse #insultacivati (sì, è un po’ masochista), il confronto in tivù e l’intervista finta con Fabiofazio. Una volta perso il confronto, spero che finalmente prenda atto (anche pubblicamente) della irrecuperabilità del Pd e che si adoperi – forte del consenso ricevuto – per creare una forza alternativa al Pd. Ovvero una forza di sinistra vera, che si contrapponga (separatamente ma spesso congiuntamente a M5S e Sel) a quelle larghe intese e agli ancor più larghi inciuci che tanto piacciono (pure) a Jerry Calà Renzi e ai suoi groupies. Se Civati rimarrà nel Pd anche dopo aver perso, avranno avuto ragione coloro che lo accusano di voler coltivare una corrente-spiffero per sopravvivere al calduccio del partito. Se invece uscirà da un partito a cui non somiglia, e che infatti mal lo tollera, potrà dimostrare se e quanto vale. Magari con Rodotà, magari con Landini.
I grillini talebani mi accusano di essere civatiano, i civatiani ortodossi (due o tre, ma esistono) mi accusano di essere grillino. La solita supercazzola delle fazioni: non hanno ancora capito che ero e sarò sempre scanziano, peraltro all’opposizione. Più semplicemente, credo che una politica con più Morra e Civati e meno Boccia e Speranza (nel senso di Roberto) farebbe bene all’Italia. Molto bene. Non lo voterò, perché il Pd non è proprio la mia tazza di tè e perché ho buona memoria. Ma domenica, se votassi, non avrei dubbi su chi scegliere tra i tre.”

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Vorrei concludere con le parole dello stesso Civati. In particolare in due discorsi distinti.

Uno è l’ultimo invito prima del voto agli elettori, trascinato dall’hashtag #vinceCivati, che ha spopolato sulla rete nelle ultime 48 ore: http://www.civati.it/vincecivati/

L’altro è l’appello finale pronunciato al confronto tv del 29 Novembre a Sky: http://video.sky.it/news/politica/il_confronto_pd_lappello_finale_di_civati_27/v179968.vid

Per chi volesse votare domenica può seguire tutte le istruzioni su questo sito: http://www.primariepd2013.it/?q=comesivota

Comunque vadano queste primarie, spero vivamente che prevarrà lo spirito di cambiamento e soprattutto che cresca la speranza nel futuro. Che è sempre ciò che fa andare avanti la politica. E forse anche la vita. 

Perché Renzi non dovrebbe candidarsi a segretario del Pd

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Renzi ha partorito. Dopo mesi di annunci, indiscrezioni, passi avanti e passi indietro, il sindaco di Firenze ha annunciato di voler correre per la segreteria del Partito Democratico, di fatto formalizzando la candidatura depositando le firme necessarie e iniziando la sua campagna “elettorale” Sabato scorso da Bari. Tutti erano in attesa di una sua dichiarazione netta e aperta che chiarisse una volta per tutte se era nei giochi o meno, se avesse voluto sfidare Civati, Cuperlo, Pittella o no. Alla fine ha compiuto la mossa che un po’ tutti immaginavano e sentivano sommessamente, uscendo così dal buio strategico. Ora che le carte sono in tavola, però, ci si chiede se Matteo abbia fatto la scelta giusta. Per molti era indispensabile tornare in campo per vincere la prima sfida utile, per altri avrebbe fatto meglio ad aspettare le eventuali primarie post-Letta. Io sono uno degli “altri”. Sono convinto che Renzi non debba diventare segretario del Pd e ne spiegherò il perché.

Partendo dal presupposto che Renzi oggigiorno è, indiscutibilmente, il leader (o futuro tale) più carismatico e seguito dai media, il “giovane” più promettente dello scenario politico, e che io stesso abbia fiducia in lui per il futuro dell’Italia, sorgono lo stesso molti dubbi sulla sua figura di segretario. Tutto ruota, essenzialmente, sul fatto che Renzi ha poco di sinistra. E’ evidente, è chiaro ed è accertato. E’ un ex-democristiano e non può avere nulla a che fare con i post-comunisti o storici di sinistra. Questo per molti è un detraente, per altri un dettaglio insignificante. Anche per me non essere completamente di sinistra è un fattore positivo, poiché bisogna guardare al passato politico con rispetto e ammirazione ma spesso bisogna superarlo, bisogna rivedere i vecchi ideali, imparando da essi a crearne di nuovi. Quindi niente estremismi è il motto condivisibile, sì. Ma per un futuro Premier. Non per un futuro segretario della sinistra. Questo perché il segretario avrà il compito di tenere unite le numerose correnti che vi sono all’interno del Pd (appunto, dai comunisti agli ex-dc) ed avere poco di sinistra non è certo il miglior inizio. Essere visto da tutti quasi come un uomo di centro-destra a capo del centro-sinistra “è uno smacco che farebbe rivoltare nella tomba Berlinguer” direbbe qualcuno.

ImmagineTutto ciò mi porta a pensare che rompere col passato è un bene, ma spazzare via ogni tradizione no. Per questo sarebbe stato meglio se Renzi avesse lasciato la segreteria ai contendenti, in particolare se avesse appoggiato Civati. Eterno ribelle, amico di Matteo sin dalle prime conferenze della Leopolda, anche lui è un giovane che vuole cambiare il partito rimanendo però fedele agli ideali fondanti, ha le caratteristiche e le capacità per ricreare il Pd e far appassionare la gente. Di certo Civati non avrebbe mai puntato alla Presidenza del Consiglio in caso di elezioni in vista. Ed era a quel punto che Renzi avrebbe dovuto farsi avanti per vincere.

Forse si chiedeva troppo all’immaginazione. Forse i fatti ci daranno torto. Forse ragione. L’importante, comunque, è che il Pd torni a dare speranza al nostro Paese rinnovando la vecchia politica. Pardon, rottamandola.

Piccola considerazione sull’IMU

letta-alfano-imu.jpg_1064807657L’Imu sulla prima casa è stata abolita per tutto il 2013. Per molti una boccata d’ossigeno, per alcuni una vittoria propagandistica, per altri una sconfitta politica, per altri ancora una notizia irrisoria. Da questa azione del governo Letta si possono trarre 3 conclusioni:

Punto 1. L’abolizione dell’IMU è stata il cavallo di battaglia della campagna elettorale del Pdl e di Berlusconi (che addirittura voleva restituire quella pagata nel 2012, insieme alle sette sfere del drago, ai 79 centesimi di Whatsapp e tanto altro ancora) e di conseguenza avrà un forte impatto mediatico positivo nei suoi confronti e nelle prossime elezioni, essendo bollata senza dubbio come una vittoria del centro-destra.

Punto 2. Il PD nella sua campagna elettorale sviava in tutti i modi il discorso IMU parlando di “argomenti più importanti come il lavoro” o al massimo prevedendo una sua rimodulazione, ma mai un’abolizione totale. Da questo punto di vista il centro-sinistra ha ceduto alle avance di Silvio in nome del governo fantoccio Letta.

Punto 3. Il popolo sarà diviso a tale notizia: ci sarà un’Italia popolare e operaia che non dovrà pagare centinaia di euro e ne sarà felice, visti i tempi di crisi e la soffocante pressione fiscale; ci sarà un’altra Italia nobiliare e imprenditoriale che non dovrà pagare un centesimo neanche su un villone di 3 ettari quando avrebbe potuto benissimo continuare a farlo.

Ci si dimentica spesso che l’Italia ha una delle tassazioni sugli immobili più basse in Europa ma quella più alta sulle persone e sul lavoro. Se magari il governo pensasse a diminuire quest’ultime staremmo a parlare d’altro e sulle prime pagine dei quotidiani non spunterebbero più titoli come “Via l’Imu dalla prima casa” ma “Meno tasse all’imprese. Il lavoro riparte”. Magari.

Partito Democratico, perché non vuò fa l’americano?

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“C’è pane e pane” dice in questi giorni il buon vecchio Banderas, rottamato a mugnaio. Ecco, in politica c’è Partito Democratico e Partito Democratico. 

C’è il PD made in Italy, con una classe dirigente vecchia, incapace di vincere e stritolata dai dissidi interni. E poi c’è il Democratic Party, non una festa intima tra democratici sballati, ma il partito democratico made in USA, vincente nelle ultime 2 tornate presidenziali con l’ormai mitico Obama e capace di portare sulla scena politica figure del calibro di John F. Kennedy, Bill Clinton, Al Gore e tanti altri mostri sacri. Ecco, nel centro-sinistra italiano basta omettere ogni tanto la parola “sacri” per descrivere alcune loro figure politiche fossilizzate in parlamento da decenni. Ok, “mostri” è forse esagerato e di proprietà di altri schieramenti politici (Borghezio e Capezzone già ne reclamano l’uso) ma il senso è quello di accentuare il già consistente divario che esiste tra i Democratici americani e i loro brothers italiani. Il DP ha saputo reinventarsi negli ultimi 20 anni, a partire dalla candidatura e la vittoria di Clinton, passato alla storia come il Presidente degli Stati Uniti che ha regalato il più lungo periodo di pace ed espansione economica nella storia americana, lasciando la carica, dopo 8 anni, con il più alto indice di gradimento per un presidente dalla Seconda Guerra Mondiale. Ah, piccola nota: terzo Presidente più giovane di sempre (46 anni alla prima elezione). Unica pecca (se proprio vogliamo essere puntigliosi) lo scandalo sessuale con Monica Lewinsky del 1998. Ma fare i moralisti quando in Italia qualcuno ha contemporaneamente mandato a gambe aperte alcune minorenni e a gambe all’aria un Paese intero, non mi pare di certo opportuno. Continuiamo con Al Gore, Nobel per la pace nel 2007, convinto ambientalista, vice-presidente di Clinton e candidato alle contestate elezioni nel 2000, perse per una manciata di voti. Per non parlare del fenomeno Barack Obama, capace di portare un ulteriore ventata di cambiamento in America, e di conseguenza in tutto il mondo, con la sua elezione alla Casa Bianca come primo Presidente afro-americano della storia a 47 anni. Nobel per la pace nel 2009, ha costruito in pochi anni la figura più potente del mondo con umanità, semplicità e determinazione al grido di “Yes, we can!”Immagine

Tornando al nostro fronte, meglio nonimmaginarsi Bersani, Bindi, Finocchiario & vecchi amici a incitare l’elettorato con “Sì, noi possiamo!”. Meglio pensare a ciò che di buono potrebbe uscire da questo PD, ai giovani e al nuovo che avanza, a Renzi, Civati, Serracchiani e tanti altri meno noti. Per una volta il centro-sinistra spero abbia il coraggio di affidare le chiavi della baracca a loro e coadiuvarli al massimo con l’esperienza dei più vissuti. Le elezioni e i fatti hanno dato ragione alla voglia del cambiamento e ai loro possibili interpreti. Basta con la vecchia ideologia comunista, radicale o qualunque altra sia, avanti con idee semplici e forti che seguano una sola linea: il bene dell’Italia e degli italiani. Prendano esempio dai Democratici americani, rinnovino il partito e pongano un segretario giovane e valido nel prossimo Congresso, che sappia teneri insieme tutte le correnti ma che sia staccato dal candidato premier. Per quella carica ci vorrà un’altra figura con altre capacità, più potente e diretta all’elettore. Come in America. Il PD ha tante di queste nuove figure, basta sfruttarle.

Negli USA lo hanno fatto negli ultimi 20 anni. Ed è andata oltre ogni più rosea aspettativa. Tentar non nuoce qui. Tanto, come può andare peggio di così?!

PD vs PDL: 16 a 0 e Italia al centro!

Immagine“Mai vinto così”. Si potrebbe sintetizzare in tal modo, con le parole dell’attuale segretario del Pd Guglielmo Epifani, la tornata elettorale delle amministrative 2013. Pd batte Pdl 16 a 0. Vittoria (velatamente) aspettata dopo le prime votazioni di 2 settimane fa, ma mai con un risultato così schiacciante. En plein in tutti i capoluoghi di provincia per il Centro-Sinistra, dato per disperso sino a poco tempo fa. Quello stesso partito che mesi prima era riuscito a “sbagliare un rigore a porta vuota”, perdendo (pardon, non vincendo) in pratica le elezioni nazionali, non riuscendo ad eleggere un Presidente della Repubblica, per poi finire con un inciucetto bello e buono (chiedere a Silvio per conferma). Da quelle ceneri è (quasi) riemersa una Sinistra che mostra ancora gli artigli a livello locale e cittadino, che riesce a ribaltare i pronostici in roccaforti della Destra e a riprendersi città colpite dai “propri” scandali (vedi Siena). La lunga lista delle città conquistate dal Pd è da prendere con le pinze e da valutare singolarmente, è vero, ma tutte insieme compongono senz’altro un mosaico che raffigura voglia di cambiamento e speranza, dai paesini di 500 abitanti alle metropoli come Roma. Già, Roma. La capitale, dopo 5 discutibili anni di governo Alemanno, ha voluto dare un forte scossone votando (col 64% al ballottaggio) il democratico ribelle e atipico Ignazio Marino, che ha persino rifiutato di affiancare il proprio volto al simbolo del Pd nella campagna elettorale. Marino, lo stesso parlamentare che ha votato per Rodotà al Quirinale e contro la fiducia al governo-dellelargheintese-Letta. Una coincidenza o un segnale? Meglio non trarre conclusioni affrettate ma di certo la gente, romana e non, ha votato per lo più per politici spesso sconnessi dalla linea di governo di Bersani & friends nei piani alti e, a volte, persino critici verso di essa. Se non è richiesta di cambiamento questa! Non lo è forse nemmeno  il ribaltone di Brescia, di Treviso, di Imperia e di altri centri ancora?! Certo, va indubbiamente ricordato che l’affluenza alle urne è stata una delle più basse degli ultimi decenni, segno di un elettorato spesso stanco e non rappresentato, nemmeno da quel Movimento 5 Stelle protettore e paladino dei più deboli (disoccupati, esodati, giovani) e dei delusi dalla politica tradizionale. Il tracollo dei grillini meriterebbe però tutto un articolo a sé (si veda L’Espresso di questa settimana) per analizzarlo e comprenderlo. Tuttavia, tornando ai risultati, causa l’astensionismo e le pessime figure recenti (cause strettamente collegate), per il Partito Democratico è stata “una vittoria in retromarcia” come detto da Renzi ieri sera a Piazza Pulita. Nel senso che il Pd ha battuto Pdl e M5S in una gara a chi perdeva meno elettori, a chi commetteva meno errori, insomma in una gara alla meno peggio. Noi, comunque, vogliamo credere che non sia stato esattamente così, che il popolo chiamato ieri alle urne abbia voluto lanciare un altro, disperato messaggio alla politica, che spero e speriamo tutti possa recepire e comprendere: “vogliamo cambiare ma, vi prego, fatelo al più presto!” – con amore, e tanto odio, i cittadini italiani.

P.S. Vi teniamo d’occhio!

Il mese nero della politica. Concime per un nuovo inizio.

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E’ strano pensare che il mese più buio e nero nella storia della politica italiana possa anche diventare un motivo di interessamento e di passione nella cosa pubblica. O almeno così è stato per me.

Aprile 2013. Dopo quasi due mesi di sterili tentativi di creare una maggioranza quantomai risicata, il PD e il suo “leader” (che poi si dimostrerà tutt’altro) Bersani si trovano ad affrontare un momento solenne e sempre importante: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. E’ qui che si consuma uno dei più grandi delitti della storia politica, che vedrà come vittime il Pd stesso e il popolo italiano. La storia (purtroppo) è ben nota a tutti e fin troppo melodrammatica. Dalla prova di inciucio con Marini, alla tremenda sconfitta di Prodi per mano dei 101 franchi tiratori, all’impossibilità cocciuta del Pd di convergere nell’appetibile nome di Rodotà, proposto su un piatto d’argento dal M5S, sino al colpo di grazia per eccellenza. La salita al Quirinale di Bersani, Silvio e Monti per implorare Napolitano, intento già a far le valigie, a rinnovare il proprio settennato è stata il culmine di una telenovela incomprensibile. La successiva strigliata di Re Giorgio II nel discorso di insediamento in parlamento è stata accolta da sonori applausi dai politici stessi, i colpevoli di tutto ciò, tutto sommato felici di essersi salvati il culo ancora una volta. Il vincitore assoluto di questa baraonda è stato, neanche a dirlo, il buon vecchio Silvio, che una volta tanto aveva seriamente rischiato di esser messo all’angolo della politica da Pd&M5S riuscendo tuttavia a cavarsela (per demeriti altrui ovviamente) e ad uscirne ancor più pulito e rinvigorito. Pd affondato, Pdl in salita. What else?

Ecco, dopo un periodo del genere qualunque buon cittadino avrebbe  tratto (e lo ha senz’altro fatto) le sue conclusioni sulla pessima politica. Altri, invece, come me hanno preso spunto da questo tracollo politico per interessarsi ancor di più all’argomento e seguire gli sviluppi del nostro Paese. Partendo dal presupposto che più in basso di così non si può andare, possiamo cambiare le nostre prospettive in meglio. Magari non commettendo lo stesso errore di affidarci ad una classe dirigente vecchia e ormai scaduta, che in 20 anni ha cambiato l’Italia in peggio. Per questo tutto il marcio degli ultimi tempi può fare solo da concime per un nuovo inizio. Come cantava De Andrè “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior“. Solamente che quel mese per la politica non è stato letame. Ma proprio merda.